1.5 Lo scatenarsi della violenza fascista

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Le difficoltà economiche del dopoguerra si accompagnano, in Italia, ad una convulsa situazione politica. Il tradizionale ceto dirigente liberale si mostra incapace di interpretare la nuova realtà segnata da grandi movimenti sociali e dalla crescita o nascita dei partiti di massa.

Le elezioni del 1919, le prime con il sistema proporzionale1, vedono la netta crescita dei socialisti e del Partito popolare, fondato da don Luigi Sturzo, che rappresenta, per la prima volta direttamente, le masse cattoliche; nulla la presenza fascista, debolissima quella dei nazionalisti. Il governo di liberali e moderati si regge a fatica davanti alle spinte sociali e, sul lato opposto, alle forti pressioni dei nazionalisti che lo accusano di debolezza nella Conferenza di pace.

Nasce, in questi ambienti, il mito della “vittoria mutilata”, cioè della vittoria militare nella guerra 1915-18, ottenuta con un sacrificio collettivo, a cui l’inettitudine dei politici non ha saputo dare riscontro. L’Italia, al tavolo di pace, non ottiene tutti quei vantaggi territoriali che erano stati sperati.

L’area tradizionalmente più sensibile è quella adriatica. Nel settembre 1919, il poeta Gabriele D’Annunzio (1863-1938) occupa la città di Fiume, contesa fra Italia e Jugoslavia. Un referendum sceglie l’annessione all’Italia, scavalcando la diplomazia internazionale. La Carta del Carnaro (o Quarnaro), proclamata dal poeta, mescola contenuti nazionalistici a toni (corporativismo) antagonisti sia al capitalismo sia al marxismo.

L’esperienza fiumana viene spezzata dall’intervento dell’esercito nel mese di dicembre (“Natale di sangue”) suscitando aspre polemiche negli ambienti nazionalistici che accusano di viltà e inettitudine il Governo.

Fanno parte da sempre della natura stessa del fascismo l’intenzionale ambiguità, il ricorso a frasari e anche a simboli tratti dalla sinistra (come il rosso della bandiera nazista), la più sfrenata demagogia, lo sforzo di presentarsi come rivoluzionario, antiborghese, etc. Un’ambiguità, un’ipocrisia, che si manifestò già alle origini del fascismo (nello stesso nome che richiamava i “Fasci siciliani” del 1892-1894, nel “Programma di san Sepolcro” del 1919 dell’ex-socialista Mussolini, etc.) e riemerse – fuori tempo massimo – nel “corporativismo” e nelle cosiddette “socializzazioni” della Repubblica di Salò. Lo stesso antisemitismo era stato definito da August Bebel (1840-1913), uno dei fondatori della socialdemocrazia tedesca, «il socialismo degli imbecilli». Dunque niente di nuovo nella fraseologia pseudo-rivoluzionaria oggi utilizzata dalle formazioni neo-fasciste, e nel loro definirsi “rosso-brune” (dove, non dimentichiamolo mai, “bruno” sta per nazismo, e questo spiega perché nessun comunista avrà mai niente a che fare con costoro). Come sempre accade, furono i fatti della storia (che hanno la testa dura) a sciogliere ogni ambiguità in merito alla natura di classe del fascismo.

Il 23 marzo 1919, a Milano, Benito Mussolini aveva fondato i Fasci di combattimento. Mussolini è stato dirigente dell’ala più intransigente del Partito socialista, direttore dell’”Avanti!”. Nell’autunno 1914 ha abbracciato le posizioni interventiste, fondando “Il Popolo d’Italia”. Il suo movimento comprende reduci della guerra, futuristi, nazionalisti, il sindacalismo interventista ed esprime posizioni contraddittorie (repubblicane, anticlericali, protestatarie, antipartito e “anti-imperialiste”).

Il fascismo alle elezioni del 1919 aveva riportato un clamoroso insuccesso (e Mussolini non fu neppure eletto), a fronte del 32% di voti del PSI con 156 seggi, e del 20% di voti del Partito Popolare con 100 seggi. Ancora alle elezioni del maggio 1921 furono eletti solo 35 deputati fascisti, tra cui Mussolini.

Ma il fascismo si sviluppò in Italia con una serie di azioni armate (“squadrismo”), spesso coperte da Polizia e Carabinieri e sempre impunite, contro gli scioperi, i cortei, le Case del popolo, i giornali socialisti e le sedi del Sindacato, “spedizioni punitive”, bastonature e uccisioni di quadri del movimento popolare. Le denuncie contro gli squadristi venivano archiviate, i pochi processi che si celebravano li mandavano assolti.

Narodni dom
Il palazzo sloveno a Trieste dato alle fiamme, via Wikimedia Commons.

A Trieste il Narodni dom (in sloveno Casa nazionale o Casa del popolo) degli sloveni triestini, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo (Hotel Balkan) fu incendiato il 13 luglio 1920 dai fascisti (che poi impedirono ai pompieri di spegnere l’incendio), nel corso di quello che  Renzo De Felice definì “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”. Il segretario del fascio di Trieste, Francesco Giunta, dichiarerà nella successiva campagna elettorale: «Per me il programma (elettorale) comincia con l’incendio del Balkan».

Contro le agitazioni sociali, il fascismo inizia a darsi un apparato militare, a praticare azioni violente, a rappresentare le istanze della piccola e media borghesia (timorosa di perdere i propri relativi privilegi) e, contemporaneamente, quelle dei grandi proprietari agrari.

Durante le elezioni amministrative dell’autunno 1920, i fascisti organizzano le prime “squadre di azione”, bande armate cittadine o rurali, strumento degli agrari contro le lotte contadine, in particolare nella pianura padana. Questo segna un “salto di qualità” nella violenza fascista, in atto già dal 1919 (primi atti: l’incendio, della sede dell’”Avanti!”, a Milano in aprile; in dicembre gli scontri a Mantova). Tra settembre ed ottobre 1920, il Friuli cade sotto il dominio di fascisti e nazionalisti, in Emilia si moltiplicano le azioni dello squadrismo agrario, sino all’assalto, a Bologna, delle Camere del lavoro e a quello di palazzo d’Accursio (21 ottobre), in occasione dell’insediamento della giunta comunale socialista. Il Consiglio comunale verrà sciolto dal Governo per “motivi di ordine pubblico”. Nel ferrarese, è sistematica la distruzione di Leghe, Cooperative, sedi di partito. Sempre polizia ed esercito sono conniventi.

Giovanni Giolitti (1842-1928), al governo, è sicuro di poter usare il fascismo in funzione anti-socialista e di poterlo controllare. In molti casi, i comandi militari contribuiscono alla formazione dei “fasci”. Totale è la connivenza tra apparati dello Stato (prefetti, polizia, carabinieri) e repressione anticontadina nel meridione2.

squadristi bruciano libri
La devastazione di una sede del movimento operaio, via Lettore.org.

Nel marzo del 1921, l’attentato al teatro Diana di Milano che provoca 21 morti e 80 feriti (rimasto misterioso, ma attribuito agli anarchici3) produce una nuova recrudescenza di violenze.

devastazione sede movimento operaio
La devastazione di una sede del movimento operaio, via Assaltoalcielo.it.

Così ricorda lo squadrismo l’operaio torinese, dirigente del PCI, Mario Montagnana (1897-1960):

“Ogni giorno giungevano notizie di nuovi attentati, di nuovi delitti. (…) il movimento operaio, il movimento popolare italiano non furono combattuti soltanto con le rivoltelle e coi fucili – quantunque anch’essi siano stati usati di continuo contro i lavoratori – ma anche, e soprattutto nei primi tempi, col bastone e l’olio di ricino. La lotta dei fascisti non fu una lotta di combattenti contro avversari, ma un’orgia di criminalità e di barbarie da parte di una massa di sciagurati, di mostri umani, di sadici. Dieci, venti contro uno, a pugni, a calci, a colpi di bastone. Dieci, venti contro uno per costringere un avversario politico, sotto la minaccia di dieci, venti pugnali, ad ingoiare un liquido infame, tra il riso e lo scherno degli infami carnefici. E gli incendi delle case del Popolo, delle redazioni dei giornali, delle ricche cooperative. E gli agguati, all’angolo di strada, contro gli inermi. E le rappresaglie atroci contro le spose, i genitori e i figliuoli ignari: le donne violentate e derise, i vecchi insultati e colpiti, i bimbi terrorizzati e folli d’angoscia.(…) Crudeltà e cinismo, saccheggio ed assassinio, alcool e cocaina: ecco la ‘nuova Italia’. (…)  Ma allora, nel 1920 e ’21 e per molti anni, l’Italia borghese – tutta l’Italia borghese – ed il mondo borghese – tutto il mondo borghese – sorridevano, indulgenti, e applaudivano, entusiasti, alle epiche gesta dei nuovissimi eroi.”4

E in effetti il carattere di classe delle violenze fasciste non poteva essere più chiaro: non solo esse erano rivolte anzitutto contro le mobilitazioni e le lotte popolari ma a finanziare queste azioni furono gli industriali (ad es. Agnelli fornì i camion Fiat agli squadristi fascisti) e gli agrari della val Padana, mentre la stampa borghese sosteneva, con il silenzio o con le menzogne, i fascisti.

Non mancano gli atti di resistenza popolare. Nell’estate si formano ufficialmente gli “Arditi del popolo” (approvati dall’Internazionale comunista, ma non totalmente dal PCd’I) che si oppongono – spesso vittoriosamente – ai fascisti. Il 21 luglio, Sarzana (La Spezia) caccia le milizie fasciste. Leggendaria la resistenza di Parma alle camicie nere di Italo Balbo: nel mese di agosto, nel quartiere di Oltretorrente, gli Arditi del popolo, con Guido Picelli (1889-1937), resistono per giorni sulle barricate. Balbo deve rinunciare alla “conquista” della città.

Ad agosto, il PSI firma con i fascisti il “Patto di pacificazione”(che naturalmente non avrà seguito).

Il governo Giolitti (giugno 1920-luglio 1921) tenta di affrontare la situazione con le ricette usate in periodi precedenti, ma non riesce a mediare tra spinte opposte. È Giolitti che risolve la questione fiumana e quella adriatica (trattato di Rapallo), ed è lui (non Mussolini) che sconfigge l’occupazione delle fabbriche, ma nella primavera del 1921 non riesce, nelle elezioni anticipate, a riottenere una maggioranza stabile, pur con un blocco demo-liberal-fascista.

La destra mussoliniana cresce in modo esponenziale: solo 35 eletti alla Camera, ma a fine anno, i fasci sono 2200, con 320.000 iscritti e una forte presa specie nei settori degli ex-combattenti e della piccola borghesia. Il Partito Nazionale Fascista è fondato ufficialmente al congresso di Roma (7-10 novembre 1921), in un equilibrio tra posizioni più istituzionali e lo squadrismo di Balbo e Farinacci. Alla crescita di mobilitazione dell’estrema destra, la risposta sindacale è debole: fallisce lo sciopero “legalitario” del 21 luglio 1922.

L’improponibilità di un governo “legalitario”, la crisi delle tradizionali forze liberali, l’ulteriore divisione dei socialisti (a ottobre nasce il Partito socialista riformista di Turati, Treves e Matteotti), spingono Mussolini a ipotizzare un’ulteriore prova di forza.

Per saperne di più:


Libri:

  • Angelo TASCA, Nascita e avvento del fascismo, Firenze, Nuova Italia, 1995 (prima ed. Francia 1938; prima ed. italiana 1950)
  • Mimmo FRANZINELLI, Squadristi, Milano, Mondadori, 2003
  • Eros FRANCESCANGELI, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista, 1917/1922, Roma, Odradek, 2000
  • AA. VV., Dietro le barricate. Parma 1922. Testi, immagini e documenti della mostra, 30 aprile/30maggio 1983. Comune di Parma, Istituto storico della Resistenza della provincia di Parma.

Film:

  • Giovacchino FORZANO, Camicia nera, 1933.
  • Alessandro BLASETTI, Vecchia guardia, 1934.
  • Cinecittà film Luce, Il primo dopoguerra in Italia.
  • Dino RISI, La marcia su Roma, 1962.

1 Quelle elezioni non a caso furono svolte con il sistema proporzionale, che il fascismo si affretterà a sopprimere, seguìto in questo – ai nostri giorni – dal Piano della P2, da Segni e Occhetto, dal “porcellum”, dal “rosatellum”, etc.

2 Ritorna il giudizio negativo del primo Gaetano SALVEMINI su Giovanni Giolitti. Cfr. Il ministro della malavita, Firenze, ed. del Colle, 1910.

3 I condannati si proclamarono sempre innocenti. Il leader storico degli anarchici Errico Malatesta espresse «il suo sdegno per il delitto esecrando che giova solo a chi opprime i lavoratori e a chi perseguita il nostro movimento».

4 M. Montagnana, Etica fascista, in AA. VV., La resistenza al fascismo. Scritti e testimonianze, Milano, Feltrinelli, 1962, pp.11-17 (15).