2.2 Il processo alla Resistenza negli anni ’50. La nascita del MSI

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Nel dopoguerra il fascismo si ripresenta con volti differenziati. Molti ex-combattenti nelle milizie del Partito Fascista Repubblicano e della Repubblica di Salò si schierano contro la giovane democrazia con azioni militari, provocazioni, attentati, spesso in formazioni militari clandestine.

Altri danno vita a formazioni “visibili” che ripropongono il termine fascista e il nome di Mussolini. Tra le azioni, l’occupazione, a Roma, di Radio Monte Mario, attentati a sedi del PCI[1], e nell’aprile 1946 il trafugamento, dal cimitero del Musocco (Milano) della salma di Benito Mussolini.

Nell’estate del 1946, vengono fondati i Fasci di Azione Rivoluzionaria (Giorgio Almirante, Pino Romualdi, Roberto Mielville): l’obiettivo è rinsaldare le radici, prepararsi allo scontro verso il bolscevismo; si è chiuso il primo ciclo del fascismo, se ne apre un secondo.

Il 26 dicembre 1946, viene fondato il MSI (Movimento Sociale Italiano). Simbolo: una fiamma tricolore che esce da una tomba stilizzata: secondo i neo-fascisti, quelle tre lettere stanno per Mussolini Sempre Immortale.

Dall’aprile 1947, segretario è Giorgio Almirante, già redattore della rivista “La difesa della razza” e firmatario di un manifesto che ordinava la fucilazione dei partigiani. Il successivo segretario Augusto De Marsanich conierà lo slogan “Né restaurare né rinnegare”.

Il MSI entrerà in Parlamento alle elezioni del 1948, con il 2,01% dei voti e sei eletti. Al suo interno (sino allo scioglimento nel 1995 da cui nascerà Alleanza Nazionale, che comunque conserverà il simbolo del MSI, così come anche il successore Fratelli d’Italia!), conviveranno le tendenze “rivoluzionarie” e quelle “istituzionali”, da quelle “socializzatrici” a quelle liberiste. Diverse anche le opzioni internazionali (una parte si oppone alla maggioranza atlantista e filo-occidentale).

Occorre ricordare anche la forte presenza, dal 1944 al 1948 del “Fronte dell’uomo qualunque” (UQ)[2], fondato nel 1944 da Guglielmo Giannini e basato sull’anticomunismo, la critica alla “partitocrazia”, la difesa del cittadino “qualunque”, schiacciato dalla burocrazia dello Stato[3].

Forte a Roma, fortissimo nel Sud, quasi maggioritario in Sicilia, il “Fronte dell’Uomo Qualunque” ottiene il 5,3% e trenta eletti alle elezioni della Costituente (1946, quinta formazione politica), ma scompare, anche per divisioni interne, soprattutto a causa della forte crescita della Democrazia Cristiana che fa il pieno nelle elezioni del 1948.

Foto in bianco e nero che ritrae Guglielmo Giannini, inquadrato dal  dal basso che legge il giornale "L'uomo qualunque". Egli è seduto e assorto nella lettura, indossa una giacca e regge con entrambe le mani il giornale.
Guglielmo Giannini e il suo giornale “L’uomo qualunque”, via Wikipedia.

Dopo la breve fase seguita alla Liberazione, il “vento del nord” si spegne velocemente.

Nei luoghi di lavoro ritornano le forme economiche e i rapporti di potere del pre-fascismo. A livello governativo, si formano governi centristi che emarginano le forze di sinistra, a partire dalla primavera del 1947, quando le sinistre vengono escluse dal Governo.

Cooperano attivamente alle campagne anti-comuniste i servizi segreti occidentali, in particolare quelli inglesi che gestiscono il PWD (“Psychological Warfare Branch”, “Divisione per la guerra psicologica”) un organismo incaricato nell’immediato dopoguerra di esercitare il controllo sui mezzi di comunicazione di massa italiani: stampa, radio e cinema; lo sostituirà il britannico IRD (“Information Research Department”) a cui – secondo gli storici  Cereghino e Fasanella[4] – lavora il “colonnello Merryl”, cioè Renato Mieli: già direttore dell’edizione milanese dell’”Unità” sarà poi redattore dell’”Espresso” e lo ritroveremo al Convegno del Parco di Principi nel 1965.

L’IRD provvedeva a preparare articoli e dossier anticomunisti che giornalisti compiacenti veicolavano sui loro giornali, come “La Gazzetta del Popolo”, “Il Tempo”, “La Nazione”, “Il Mattino”, naturalmente “Il Corriere della Sera”, etc. Fra i giornali fondati direttamente dall’IRD c’è il “Corriere Lombardo”, poi “Corriere d’Informazione”, affidato a Edgardo Sogno, un ex-partigiano legato agli USA, violentemente anti-comunista, iscritto alla P2, che sarà indagato negli anni ’70 per un progetto di “golpe bianco” (per cui Sogno fu espulso dall’associazione partigiana FIVL).

Sogno dichiarerà nel suo Testamento di un anticomunista:

“Fui l’unico ad accogliere senza riserve i giornalisti che avevano collaborato con la Repubblica sociale…”[5].

Come detto, pesa la “continuità” di tutti gli apparati dello Stato (esercito, polizia, magistratura, scuola…), nonostante la modificazione istituzionale (Repubblica, Parlamento, pluripartitismo).

Inoltre per anni i neo-fascisti italiani possono contare su appoggi da parte dei regimi fascisti spagnolo (Franco) e portoghese (Salazar), a cui si aggiunge, dall’aprile 1967, quello nato dal colpo di stato dei colonnelli in Grecia.

Parallelamente, nel clima di guerra fredda e di divisione in blocchi, è costante l’emarginazione delle forze resistenziali. Nel clima convulso che segue a venti anni di dittatura e a cinque di guerra, nella impunità di molti crimini fascisti, le forze resistenziali sono spesso accusate di atti di violenza e di vendette. Negli anni più duri della guerra fredda e della egemonia democristiana e centrista, i processi contro ex-partigiani sono esemplificativi della politica governativa e – sul versante opposto – dell’impegno di massa delle forze popolari.

Scrive lo storico Giovanni De Luna:

“Sono decenni, ormai, che la Resistenza è sottoposta a uno scrutinio costante da parte di storici, ma anche di giornalisti e opinionisti. E se una volta poteva essere provocatorio fare le pulci al mito dei partigiani e parlare di “guerra civile” mettendo sullo stesso piano le parti in lotta, oggi molta di questa vulgata è diventata un sottofondo dato quasi per scontato. Il rischio è che ci dimentichiamo, e le giovani generazioni non sappiano mai, quanto di nobile, puro e davvero all’altezza del suo mito c’è stato nella lotta partigiana”[6].

In ossequio ad una pratica che coinvolgerà militanti ed esponenti della sinistra, soprattutto quelli provenienti dalle file dell’antifascismo e – con ogni attenzione – i comunisti, la macchina di controllo dello Stato repubblicano continua a seguire i loro passi, ad esercitare su di loro una sorveglianza ravvicinata, a tenerli sotto mira.

I fascicoli personali, aperti a loro carico agli inizi degli anni Venti dalla polizia fascista si inoltrano ben al di là della svolta segnata dall’aprile 1945. La produzione di “note” e “informazioni”, la “vigilanza” nei loro confronti proseguono per tutta l’età della ricostruzione, spingendosi fino alle soglie degli anni Settanta.

Il linguaggio dei rapporti di polizia che ricalca espressioni, giudizi, formule abituali del Ventennio, non è ascrivibile a semplice inerzia burocratica, ma riflette una disposizione politica che, riproducendo lo stigma dei “pericolosi sovversivi”, legittima un’investigazione coperta e sotterranea. Dai rapporti emerge l’identità di donne e uomini “fanatici”, “faziosi comunisti”, che “svolgono instancabile opera di propaganda a favore del loro partito”, etc.

Del resto, tutti i prefetti e i viceprefetti, tutti i questori e i vicequestori e gran parte dei magistrati in attività ancora nel 1966 si erano formati e avevano iniziato la loro carriera durante il regime fascista che ne aveva forgiato cultura e predisposizione.

Il loro pressoché automatico trasferimento nell’Italia repubblicana dice pure qualcosa, sulle trame nere, sui tentativi di golpe, sulle connivenze e sui depistaggi che per trent’anni hanno caratterizzato la “strategia della tensione”.

Foto in bianco e nero di Palmiro Togliatti e Pietro Secchia. Entrambi guardano in camera, indossano occhiali da vista, giacca e cravatta.
Pietro Secchia con Palmiro Togliatti, via Wikipedia.

Pietro Secchia (1903-1973), uno dei capi della Resistenza italiana, in numerosi scritti, in tutta la sua attività e negli interventi, non solamente in Parlamento, ribadisce le accuse contro il Governo e le forze dominanti, nazionali e internazionali, che mirano a cancellare la spinta democratica resistenziale.

Le accuse riguardano arresto di partigiani, violenze poliziesche, torture, la presenza di ex gerarchi e dirigenti della polizia fascista nella persecuzione di operai, contadini, partigiani. Gli interventi più noti alla Camera sono quelli del 28 ottobre 1949 e del 10 febbraio 1954, contro il governo Scelba:

“Voi avete tradito la resistenza, con l’opera di divisione prima e di discriminazione poi, tra i cittadini italiani[7].

Per saperne di più


Saggi

  • Pietro SECCHIA, La Resistenza accusa 1945-1973, Milano, Mazzotta, 1973.
  • Guido QUAZZA, Resistenza e storia d’Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Milano, Feltrinelli, 1976
  • Diego GIACHETTI, Guido Quazza, storico eretico, Pistoia, centro di documentazione, 2015

Sulla estrema destra dopo il 1945:

  • Guido CALDIRON, La destra sociale da Salò a Tremonti, Roma, Manifesto libri, 2009.

Film

  • Dino RISI, Una vita difficile (1961)
  • Ettore SCOLA, C’eravamo tanto amati (1974)
  • Francesco ROSI, Salvatore Giuliano (1962)

Romanzi

  • Cesare PAVESE, La luna e i falò, Torino, Einaudi, 1950
  • Carlo CASSOLA, La ragazza di Bube, Torino, Einaudi, 1960 (versione cinematografica di Luigi COMENCINI, 1963).
  • Elsa MORANTE, La storia, Torino, Einaudi, 1974 (versione cinematografica di Luigi COMENCINI, 1986).
  • Italo CALVINO, La giornata di uno scrutatore, Torino, Einaudi, 1963.

[1] Il 10 ottobre 1947 un ex partigiano comunista viene ucciso nel corso di una manifestazione.

[2] Da qui il termine “qualunquismo”. Tendenze qualunquiste si riproporranno insistentemente nella politica italiana (dall’armatore napoletano, il monarchico Achille Lauro ad altri).

[3] Cfr. Sandro SETTA, L’uomo qualunque, Roma-Bari, Laterza, 2005.

[4] Mario José Cereghino – Giovanni Fasanella, Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell’Italia, Milano, Chiarelettere, 2016, pp.190 e sgg.

[5] Ivi, p. 190.

[6] Giovanni De Luna, Introduzione a La resistenza perfetta, Milano, Feltrinelli, 2016.

[7] Cfr. Pietro SECCHIA, La resistenza accusa. 1945-1973, Milano, Mazzotta, 1973. Il testo è stato ripubblicato dall’ed. Pgreco nel 2021.