2.1 I reduci della RSI e i nazisti salvati dalla Chiesa e dagli USA

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Alla fine della guerra non si verifica l’attesa epurazione dei nazifascisti.

In Germania il “Processo di Norimberga” condanna solo i vertici del regime, mentre il grosso del personale politico-militare nazista (fra cui i responsabili dello sterminio, come Eichmann, Mengele, Priebke etc.) viene fatto fuggire, di solito passando per Genova e per la Spagna franchista fino all’Argentina di Peròn[1], attraverso “l’Organizzazione Odessa”; si trattò di un percorso di fuga organizzato anche con la complicità della Chiesa di Pio XII (Eugenio Pacelli, già Nunzio nella Germania di Hitler e ossessionato dall’anti-comunismo).

Nel salvataggio di nazisti si sono distinti il cardinal Tisserant e il cardinale di Genova Siri, il quale fondò alla bisogna anche una “Commissione Nazionale per l’Emigrazione in Argentina”.

Per parte loro, gli Stati Uniti accolgono a braccia aperte gli scienziati nazisti per utilizzare le loro competenze.

In Italia non ha luogo nemmeno qualcosa di analogo al “Processo di Norimberga”. I vertici del regime fascista e della Repubblica di Salò restano a piede libero. Il capo militare della RSI, il maresciallo Graziani, fra l’altro responsabile di stragi in Africa, riceverà  ad Arcinazzo in occasione delle elezioni del 7 giugno 1953 l’abbraccio di Giulio Andreotti, al tempo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Foto in bianco e nero di Graziani e Borghese in divisa durante la guerra da loro condotta al servizio dei nazisti.
Graziani e Borghese durante la guerra da loro condotta al servizio dei nazisti, via Corriere della Sera.

Rodolfo Graziani fu tra i più feroci gerarchi che il fascismo abbia avuto. Si macchiò di crimini di guerra inenarrabili in Cirenaica ed Etiopia, come la strage dei diaconi copti di Debra Libanos e l’uso dei micidiali gas contro militari e civili. Mai processato per i crimini commessi durante le guerre coloniali, fu condannato per collaborazionismo a 19 anni di carcere di cui scontò solamente quattro mesi; dal 1953 fu presidente onorario del MSI. A Graziani è dedicato un Parco giochi nel comune di Filettino e perfino un monumento ad Affile (tuttora esistente). Il vergognoso monumento ha suscitato le proteste dell’ANPI e, fra gli altri, della scrittrice Igiaba Scego.

Materiali: La lettera di Igiaba Scego a Zingaretti

Caro Presidente Nicola Zingaretti,

mi chiamo Igiaba Scego, sono una scrittrice, figlia di somali e nata in Italia. Sono una della cosiddetta seconda generazione. Una donna che si sente orgogliosamente somala, italiana, romana e mogadisciana.

Le scrivo perché l’11 Agosto 2012 ad Affile, un piccolo comune in provincia di Roma, è stato inaugurato un “sacrario” militare al gerarca fascista Rodolfo Graziani. Il monumento è stato costruito con un finanziamento di 130mila euro erogati della Regione Lazio ed originariamente diretti ad un fondo per il completamento del parco di Radimonte.

Rodolfo Graziani, come sa, fu tra i più feroci gerarchi che il fascismo abbia mai avuto. Si macchiò di crimini di guerra inenarrabili in Cirenaica ed Etiopia; basta ricordare la strage di diaconi di Debra Libanos e l’uso indiscriminato durante la guerra coloniale del ’36 di gas proibiti dalle convenzioni internazionali.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’imperatore d’Etiopia Hailè Selassié, chiese a gran voce che Rodolfo Graziani fosse inserito nella lista dei criminali di guerra.

La Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra lo collocò naturalmente al primo posto.

Il monumento a Rodolfo Graziani è quindi un paradosso tragico, una macchia per la nostra democrazia, un’offesa per la nostra Costituzione nata dalla lotta antifascista.

In questi ultimi giorni, i neoparlamentari Kyenge, Ghizzoni e Beni hanno depositato un’interpellanza affinché il Governo si pronunci sulla questione di Affile.

Io in qualche modo legandomi alla loro iniziativa chiedo a lei, Presidente Zingaretti un impegno concreto contro questo monumento della vergogna.

Non solo parole, ma fatti (demolizione e/o riconversione del monumento) che possano far risplendere un sole di democrazia in questa Italia che si sta avviando a celebrare il 68° anniversario del 25 Aprile.

Mio nonno è stato interprete di Rodolfo Graziani negli anni ’30. Ha dovuto tradurre quei crimini e io da nipote non ho mai vissuto bene questa eredità.

Mio nonno era suddito coloniale, subalterno, costretto a tradurre, suo malgrado, l’orrore.

Oggi nel 2013 io, sua nipote, ho un altro destino per fortuna. Per me e per tutti le chiedo un impegno serio su questa questione cruciale di democrazia.

Igiaba Scego martedì, 9 Aprile, 2013.

Sono passati quasi dieci anni dalla lettera di protesta di Igiaba Scego, Zingaretti è ancora Presidente della Regione Lazio, il monumento in onore di Rodolfo Graziani è ancora lì.

Immagine a colori di una manifestazione ad Affile per la rimozione del monumento a Graziani. Sono presenti diverse persone che manifestano e agitano bandiere di pace e dell'ANPI.
Una manifestazione ad Affile per la rimozione del monumento a Graziani.

La struttura dell’Italia repubblicana, nonostante la Resistenza e la Costituzione, nasce nel segno della continuità. E l’anticomunismo, sostenuto dagli USA e dalla Gran Bretagna oltre che dalla Chiesa di Pio XII, rappresenta il tenace tessuto di una tale continuità.

I vertici delle decisive strutture dello Stato conservano, o addirittura reintegrano, nei posti di responsabilità il personale fascista. Ciò riguarda (con poche eccezioni) i vertici militari, della PS e dei carabinieri, la rete dei prefetti, il personale apicale dei Ministeri, etc.

La stessa Magistratura ha conosciuto un episodio tristemente simbolico: come primo Presidente della istituzione, e quindi della nostra democrazia) risultò nominato il giudice Gaetano Azzariti (1881-1961) che aveva presieduto il fascistissimo “Tribunale della razza” ed era stato Ministro di Badoglio.

Il giornalista Franco Giustolisi rivelò l’esistenza dell’”armadio della vergogna”: si trattava di un armadio conservato in uno sgabuzzino della Procura Militare, chiuso a chiave e con le ante rivolte verso il muro, che conservava (nascondeva) 665 dossier riguardanti i crimini commessi dai nazifascisti in Italia, fra cui un pro-memoria intitolato Atrocities in Italy (Atrocità in Italia), con stampigliato il timbro secret, frutto della raccolta delle testimonianze e dei primi accertamenti effettuati sui casi di violenze da parte dei nazifascisti, che al termine della guerra era stato consegnato alla Magistratura italiana.

L’unico criminale di guerra condannato in carcere in Italia, l’SS Herbert Kappler responsabile delle Fosse Ardeatine, fu lasciato fuggire nel 1977 (secondo il Ministro responsabile, l’andreottiano Vito Lattanzio: in una grossa valigia portata a mano dalla moglie…).

Ma la continuità più grave si rivelò quella che riguardava i Servizi, cosiddetti segreti. Si verificò in quel settore delicatissimo, una terribile continuità con il fascismo, e con gli stessi quadri della polizia segreta fascista, l’OVRA, immediatamente intrecciati – in funzione anti-comunista – con i servizi segreti americani.


[1] Nelle atrocità che dal 1976 al 1983 segneranno la dittatura militare in Argentina (oltre 30.000 desparecidos) si può probabilmente riconoscere anche il ruolo di “formazione” svolto dai nazisti.

Per saperne di più


  • D. Conti, Criminali di guerra italiani. Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra, Roma, Odradek, 2011; D. Conti, Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana, Torino, Einaudi, 2018.