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Tesi 6 – Neoliberismo, repressione, garantismo, antiproibizionismo

Pubblicato in Tesi

Effetto del neoliberismo, come forma accentuata e tendenzialmente assolutista del capitalismo, è la repressione e il passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale. Da questo punto di vista, gli Stati Uniti rappresentano un laboratorio avanzatissimo, entrato finalmente in crisi grazie al movimento Black Lives Matter e alla rivolta contro gli abusi della polizia.
Nei Paesi della UE stiamo assistendo a un dispiegarsi massiccio e inedito di incriminazioni penali e riduzione della libertà dei singoli. Libertà universalmente riconosciute dalle Carte dei diritti dell’uomo, come la libertà di autodeterminazione del singolo o di un popolo, il diritto di manifestare o il diritto di non portare avanti una gravidanza. Libertà conculcate doppiamente: come mancato esercizio di diritti soggettivi e come punizione pubblica. In sintesi procede una “americanizzazione” delle democrazie costituzionali. Uno dei laboratori più attivi dello Stato autoritario è sicuramente la Val di Susa in Piemonte che, occupata militarmente nel vano tentativo di fermare la trentennale lotta popolare NO TAV, vede l’impunità della documentata e denunciata violenza delle FFOO insieme alla crescita esponenziale del numero di militanti e attiviste/i indagate /i colpite/i da verdetti, incarcerazioni e provvedimenti amministrativi di ogni sorta.
Tra gli esempi paradigmatici, si possono citare: il divieto polacco all’aborto, la norma ungherese, che punisce chiunque ostruisce l’applicazione di norme eccezionali connesse alla pandemia o, in altro ambito, il divieto a svolgere referendum consultivi per l’indipendenza catalana. Ad essi conseguono condanne per i pacifici manifestanti in Ungheria o Polonia e per le gravi accuse per i delitti di ribellione e sedizione a decine di eletti nella Comunità autonoma e nei Comuni della Catalogna.
Altrettanto gravi sono la crescente criminalizzazione e la repressione di ogni forma di sostegno, soccorso e solidarietà alle persone migranti in transito che sulla loro pelle vivono la violenza e la pericolosità dei confini militarizzati. Contro i solidali di ONG e associazioni si ricorre a norme sull’immigrazione per colpire il diritto a difendere diritti umani e a dissentire dalle politiche comunitarie in materia. L’Italia si avvicina velocemente al crinale tra Stato democratico e Stato autoritario. Ciò avviene aggravando l’afflittività delle pene per i reati, aumentando le incriminazioni, atrofizzando il diritto alla difesa, riducendo il sistema di punizione alla galera e favorendo la diffusione delle armi da guerra tra i cittadini. Di certo, l’accelerazione in questa direzione è stata impressa dal Governo Lega-M5S con la riforma della legittima difesa che, contro la lettera della Costituzione, ha ridimensionato tragicamente il diritto alla vita, trasformandolo in elemento gerarchicamente inferiore al diritto alla proprietà privata. Si è seguito l’abbrivio attraverso la criminalizzazione del blocco stradale e ferroviario, la ‘caccia al terrorista latitante’ portando a esecuzione sentenze vecchie di trent’anni, comminate in situazioni storicamente e personalmente diversissime, nonché dilatando arbitrariamente la legislazione antimafia e antiterrorismo a fatti per nulla connessi. Con la stessa logica è stata abolita la prescrizione, accettando il processo perenne anche per reati decisamente poco gravi.
Anche quando l’idea di giustizia non è far “marcire in galera i colpevoli”, si confonde la certezza del diritto con la certezza della pena e, in questo quadro, è accettato che l’ergastolo si trasformi in “fine pena mai” per le persone che non collaborino con la giustizia, senza dare la possibilità a un giudice di valutarne la risocializzazione. Anche in settori sociali culturalmente non reazionari, la Giustizia diventa punizione cieca.
Cieca al sovraffollamento degli istituti di reclusione, cieca alle condizioni sanitarie e socio-culturali dei detenuti. La Corte europea e la Corte Costituzionale si sono già pronunciate sull’aberrazione dell’ergastolo ostativo. Pensiamo che non solo vada immediatamente abolito, ma che vada esplicitamente riproposta la questione del superamento dell’ergastolo e ripresa una prospettiva radicalmente abolizionista sul carcere. Come ci insegna Angela Davis, il carcere è dispositivo della violenza del capitale. I processi di “crimmigration” coinvolgono anche le sovraffollate e indegne carceri italiane: le carceri sono uno dei luoghi in cui è più visibile la questione meridionale e la segregazione disciplinante della forza lavoro migrante. Chiediamo verità e giustizia per i detenuti che hanno perso la vita durante le rivolte carcerarie del 2020.
Con l’emergenza COVID, se possibile, la situazione si è ulteriormente aggravata, perché si è inflitta la condanna aggiuntiva al supplizio della malattia più infettiva degli ultimi decenni per le persone condannate al carcere o per lavoratori e lavoratrici del carcere.
Ribadiamo la necessità di una amnistia per i reati sociali e, in senso più ampio, il sostegno allo Stato sociale di diritto, in cui i comportamenti illeciti si prevengono e, se necessario, si perseguono con equità e spirito di umanità, sempre e solo da parte dello Stato.
Proponiamo: la depenalizzazione e la decriminalizzazione di una serie di fattispecie di reato che intasano i Tribunali per processi bagattelari, la estensione di sanzioni riparative volte alla massima riduzione del carcere e una nuova politica carceraria. Un Paese che usa il diritto penale come soluzione dei problemi sociali e delle diseguaglianze economiche, mette in mora la Costituzione ed è un Paese senza civiltà giuridica.
Investire sul diritto ad avere giustizia non significa incrementare ancora il novero delle forze dell’ordine, ma specializzarle, formarle diversamente, smilitarizzarle. Sottrarle dal rischio di renderle impunite, come successo a Genova o come accaduto a Stefano Cucchi, a Federico Aldrovandi, Serena Mollicone e tante/i altre/i. Investire sull’antimafia significa permettere ai magistrati di utilizzare sequestri e confische, ma, soprattutto, ricostruire i tessuti sociali di comunità devastate dall’assenza di lavoro e istruzione, oltre che dall’omertà e dall’incultura. Vanno abrogate le disposizioni proibizioniste che sono, nei fatti, un regalo alle mafie, facendo crescere il prezzo della merce/droga, e che portano ad un uso incontrollato delle sostanze. Al contrario, sono necessarie disposizioni sulla legalizzazione e liberalizzazione, con percorsi di riduzione del danno e di collettivi di “mutuo aiuto”, anche tenendo conto delle lodevoli esperienze nazionali ed internazionali. Oggi in Italia circa un terzo dei nuovi ingressi nelle carceri è legato al consumo o alla vendita di sostanze stupefacenti. Le politiche in vigore criminalizzano i consumatori e le consumatrici e impediscono di autoprodurre cannabis, anche a scopo terapeutico. L’utilizzo di cannabis terapeutica è sottoposto a complesse procedure, rendendo inaccessibile il diritto alla cura per migliaia di malati, con una sostanza meno dannosa di molti farmaci di comune utilizzo. Impedire alle persone di coltivare cannabis o costringerle ad acquistare sostanze in maniera illegale, costituisce un enorme regalo alla criminalità organizzata che conta su un giro d’affari di oltre 30 miliardi di euro l’anno. Migliaia di giovani finiscono in carcere, marchiati a vita, per essere in possesso di qualche spinello. Alcuni di loro arrivano al suicidio. Tutto questo, in un clima reazionario che rende impossibile un dibattito laico su una delle maggiori questioni economiche e sociali di questo secolo. Persino la “cannabis light”, che non è una sostanza psicotropa, viene criminalizzata non solo dalle destre, ma anche da forze che sono posizionate nell’ambito del centrosinistra. La propaganda impedisce l’approvazione di una proposta di legge che giace in parlamento dal 2015 e che consentirebbe la regolamentazione dell’uso e della vendita di droghe leggere. In questo Paese non solo non viene garantito l’accesso alla cannabis terapeutica ma si impedisce lo sviluppo di un settore che potrebbe creare decine di migliaia di posti di lavoro, ma finisce invece sotto processo il malato che coltiva qualche pianta. Tra l’altro, la legalizzazione consentirebbe di affrontare la crisi post pandemica con effetti positivi dal punto di vista fiscale, economico e sanitario come dimostra l’esperienza dei Paesi che hanno imboccato questa strada, permettendo anche l’utilizzo delle forze dell’ordine e i tribunali per una più efficiente lotta alla criminalità e una maggiore attenzione verso i reati ambientali e legati alla mancanza di sicurezza sul lavoro. L’antiproibizionismo è una battaglia di libertà e civiltà.

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