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Tesi 13 – Mezzogiorno

Pubblicato in Tesi

Ancora oggi parlare di Mezzogiorno d’ Italia, rimanda ad affrontare “la questione meridionale”, una questione irrisolta, che racconta la lunga storia del Mezzogiorno d’Italia, nella narrazione della cultura dominante e del revisionismo storico e contemporaneo. Una questione che affonda le proprie radici all’indomani della nascita del regno e dello stato liberale.
Da quella rivoluzione mancata, nel corso dei secoli il sud è divenuto zavorra per lo sviluppo del Paese, ciò ha profondamente condizionato da un lato l’approccio antropologico della popolazione nella gestione del territorio e del quotidiano, dall’altro la messa in discussione di uno stato di accettazione che ha dato vita a focolai di lotta e di conquista.
Le lotte contadine, i movimenti di occupazione delle terre, per il salario, per il diritto al lavoro e alla casa, i movimenti femministi e le conflittualità urbane lungo tutto il 900, sono la chiara manifestazione di lotta per la dignità all’esistenza.

Le lotte del sud, difatti, hanno contribuito alla formazione e alla difesa della democrazia nel Paese, ma la mancata connessione con le lotte operaie del nord ne ha determinato, poi, l’arretramento storico sul terreno strategico di un nuovo sviluppo del Paese e la riforma dello Stato, venendo meno, così, la prospettiva del cambiamento.
Il venir meno della tensione trasformatrice del Sud ha generato una crisi di democrazia causata anche dalle deboli protezioni sociali. Nella dialettica del controllo consensuale/consenso controllato si sono annidati richiami clientelari speculativi, lo sviluppo assistito, in modo, spesso parassitario, determinando una vera e propria caduta di civiltà, nel mantenimento di una “democrazia blindata”. La corruzione nella gestione della cosa pubblica, l’antistato come risposta al disagio, la carenza di classe dirigente capace di investire sullo sviluppo del territorio, e non nel clientelismo e nel familismo, come principi caratterizzanti della gestione delle relazioni e dei territori e del ricatto sociale, ne ha identificato una caduta di civiltà politica sociale ed economica. Da qui l’impossibilità di definire le condizioni di volano per lo sviluppo del Mezzogiorno e del Mediterraneo. Non a caso oggi, dentro le frequenti adulterazioni storiche capeggiate da formazioni neoborboniche ed altri movimenti sudisti, emergono posizioni secessioniste ed autonomiste, facendo così sponda ai desiderata leghisti.

Oggi, gli effetti della crudele gestione e valorizzazione di un territorio sono tutti venuti al pettine con il termine biocidio; da qui, siamo chiamati ad una nuova elaborazione, scrivere una nuova pagina della questione meridionale; un nuovo linguaggio di lotta biopolitica, ove temi come salvaguardia del territorio, inquinamento industriale, riconversione ecologica, valorizzazione delle risorse agricole declinano in modo nuovo il tema della salute e della cura, della difesa dell’ambiente e dei beni comuni, del lavoro/non lavoro, delle migrazioni, dell’esistenza con una ancora più radicale critica al sistema capitalistico. Il conflitto tra capitale e vita ha generato nuove forme di resistenza che rifiutano il liberismo disumano, fondato sui vincoli economici e sugli strangolamenti delle popolazioni locali e dell’area euromediterranea. Ed il sud che per conformazione geografica è da sempre ponte tra Europa e Mediterraneo necessita di una reale azione strategica euromediterranea. Una nuova politica di Sviluppo che ha come capisaldi la centralità mediterranea, l’ambiente, l’accoglienza e i diritti dei migranti, la cooperazione. Una nuova strategia in controtendenza ai G20 ma che affermi l’importanza di un’assemblea parlamentare euroafricana, il riconoscimento della cittadinanza euromediterranea, la costruzione della sezione mediterranea della Bei.

Nella fatica del vivere quotidiano questo sud è suddiviso in diversi sud, il sud delle resistenze, della coscienza della cittadinanza umana che si oppone al soccombere sotto il macigno di un potere costituito e l’altro sud, quello del paternalismo, del patriarcato, del plebeismo, della jacquerie, di una identità smarrita che presta il fianco alla sindrome del populismo proprio per la complessità della composizione sociale meridionale, una sindrome maggiormente alimentata dall’antimeridionalismo e dalla diseguaglianza. Dentro questa realtà è stato importante fondare il laboratorio del Sud , arrivare alla stesura de “La carta dei diritti per il sud”, entrare nelle contraddizioni socio – economiche, antropologiche e culturali, riprendendo le file di una discussione di cambiamento e di riscatto, con protagoniste e protagonisti di lotte in difesa della Terra e dei diritti per il lavoro, del reddito di cittadinanza e dei beni comuni, sull’antimafia sociale, con accademici, intellettuali, una sinergia di sapere e di proposta.
Può sembrare paradossale, ma l’affanno a cui è sottoposto il sud ad inseguire il modello di sviluppo capitalistico moderno che esige aree di marcescenza, spazzando via la valorizzazione della particolarità di una intera area, ci consegna una “eutanasia del Mezzogiorno”.

Una condizione determinata dal calo degli investimenti pubblici, del credito, del Pil, dal drammatico fenomeno di emigrazione, spopolamento e recessione del Mezzogiorno, una situazione aggravatasi nella pandemia. Gli emigrati dal Sud sono, negli ultimi anni, sono oltre 2 milioni, la metà sono giovani, il 33% laureati, in sostanza, sono di più i meridionali che emigrano per lavoro o studio al Centro Nord e all’estero che gli stranieri migranti che scelgono di vivere nelle regioni meridionali, tale perdita di popolazione indica una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri.
Come è noto il motore dello sviluppo economico del Mezzogiorno è stato ed è la spesa pubblica, non perché sia maggiore rispetto al Centro-Nord (come spesa pro-capite), ma per debolezza degli altri settori, rispetto al resto del paese. Ed è scandaloso pensare che la parte più ricca del paese che gode già di una maggiore spesa pubblica punti ad aumentarla ancora attraverso l’autonomia differenziata.

Relativamente alla dinamica del lavoro il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord è in costante crescita e l’indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud, incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati, preoccupanti anche i dati sulla disoccupazione giovanile, nonché il record europeo di Neet (tre milioni e mezzo di giovani che non studiano più e non lavorano).
Il livello di povertà assoluta, le problematiche ambientali e sanitarie, l’evasione scolastica, il sistema universitario messo alle strette per effetto di criteri “folli” nella ripartizione dei fondi che premiano le Università del nord, i comuni in default, a causa delle politiche del pareggio di bilancio con conseguenti politiche socio-sanitarie quasi azzerate e trasporti locali ai minimi storici, porta la popolazione del sud non solo a maggiore precarietà esistenziale ma ad un’aspettativa di vita più bassa di 5 anni rispetto alla media nazionale e la natalità in forte. Il divario nei servizi dovuto soprattutto ad una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali, riguarda i diritti fondamentali di cittadinanza in termini di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura. Ancor più drammatici sono i dati che riguardano l’edilizia dei plessi scolastici, la conseguente agibilità e abitabilità.

Con la pandemia, la “prima emergenza” sanitaria si è subito tradotta in crisi economico – sociale, con maggiori perdite in termini di PIL al nord e di occupazione al sud. Le difficoltà sono aumentate, poi, nelle regioni meridionali, al secondo lockdown, in termini di attività lavorative e reddito disponibile per le famiglie. I cinque provvedimenti presi nel corso del 2020: di cura, di liquidità, di rilancio, di agosto, di ristori sono stati rigorosamente concentrati nel centro – nord, solo il 30% nel Mezzogiorno, mentre quanto si parla del PNRR la previsione di investimenti ammonta al 34% delle risorse per le regioni meridionali, nella individuazione di fornitori di tecnologia e soggetti industriali affidabili. Il mancato approccio sindemico alla crisi dilagata con la pandemia ha visto non solo l’aumento del disagio sociale, ma anche perdita di posti di lavoro nei settori del lavoro stagionale e sommerso, oltre poi, la cancellazione quasi dell’80% del lavoro femminile, a causa dell’assenza di politiche occupazionali e di welfare. Una carenza sostituita da altre forme di welfare, sia familiare che mafioso nel dilagare di nuove forme di povertà che sempre più colpiscono le nuove generazioni.

Di fronte alla grande crisi del Sud non si potrà uscire con piccoli aggiustamenti, ma solamente con un surplus di radicalità, a partire dall’opposizione alla autonomia differenziata, che comporterà ulteriore povertà culturale economica e sociale. Il Mezzogiorno d’Italia necessita di un progetto globale di sviluppo dei servizi e infrastrutture per il miglioramento della qualità della vita al fine di rendere meno gravoso lo sforzo di chi ha il coraggio di rimanere, senza essere relegati e marginali nel contesto italiano. Un Piano di Sviluppo che incarni la vocazione di una intera area, che veda nella riconversione e nell’innovazione ambientale, che punti a far crescere il lavoro in modo ecosostenibile, nell’agricoltura e nel turismo, settori di crescita ed occupazione, di sperimentazione per la valorizzazione delle risorse umane e materiali, capace di stabilire un nesso tra modernità e trasformazione, affinché il sud sia sempre più risorsa e non marginalizzato a solo mercato di sfruttamento e consumo.

Tuttavia, questo Sud, può rappresentare un terreno di sperimentazione politica straordinaria con la messa in discussione delle caratteristiche di fondo del capitalismo contemporaneo, Non si tratta più di ragionare dello schema, ormai anacronistico, del binomio arretratezza/sviluppo, non c’è un deficit di modernità al Sud; esso è segnato, invece, dalla modernità nel suo versante della svalorizzazione sociale della ricchezza, la qual cosa è appunto l’altra faccia della valorizzazione produttiva.
Oggi è necessario culturalmente e politicamente avanzare sulla cartografia della questione meridionale e rovesciare il senso comune della passività di cui il sud è oggetto. Elaborare l’altra narrazione, in connessione tra i Sud del mondo. Rompere la gabbia di un’eredità fatta di stereotipi e pensieri che negano i rapporti asimmetrici di poteri che hanno tradotto processi storici e politici in rapporti geografici, creando i Sud dei subalterni, inferiori al nord del pianeta. Un salto critico e culturale di saperi e comunità che impone la decostruzione di quel dispositivo nazionale che sostiene e richiede un sud come alterità subordinata alla modernità, da incorporare, nella complessità odierna del capitale e nella sua moltiplicazione dello sfruttamento.

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